Cappelletta
Nel territorio di Cappelletta l’insediamento
umano è testimoniato dall'età veneto - antica (VI secolo a.C. - IV
periodo atestino) e continua , come confermano i reperti archeologici
rinvenuti, nel
periodo romano1. Le fonti scritte certe non
danno notizia di Cappelletta fino al XIV secolo.
Nel 1329 Cappelletta è fra
i villaggi della signoria concessa da Cangrande della Scala a Guecello
Tempesta2.
Nel
1348, prima della peste ricordata proprio
come la peste del 1348, Cappelletta aveva 8 famiglie con 68 abitanti3.
La
chiesa di Santa Margherita
La testimonianza certa più antica dell’esistenza
della chiesa è la lapide posta sulla sua facciata che reca la data
1361.
Per correttezza va ricordato, che per tradizione, la chiesa dedicata a S.
Margherita di Antiochia della pieve di Trebaseleghe, citata in un
documento del 1185, è identificata nella chiesa di Cappelletta4. La dipendenza della chiesa di Cappelletta
dalla pieve di Trebaseleghe non fu costante nel tempo: si sa con certezza
che la chiesa dipese per un certo periodo da quella di
Moniego e pur mancando la data precisa dell'inizio di questa
subordinazione, essa è chiaramente indicata come già attiva nel 1328 ed
interrotta nel 1480, quando Cappelletta ritornò all'antico legame con
Trebaseleghe5.
Non
si conoscono l'aspetto e le dimensioni della cappella testimoniata dalla
lapide del 1361, ma diverse sue componenti sono state conservate quando
nel Settecento la chiesa fu ampliata. Come
ricorda la
lapide posta sopra il portale principale all'interno
nel 1778
è avvenuta
la
consacrazione della chiesa
costruita in meno di tre anni dal 1774 al 1777 mentre era pievano Lorenzo
Bolpato.
Nel corso del '900 l'aumento costante degli abitanti di
Cappelletta ha reso necessari altri ampliamenti alla chiesa e nel 1932-33 furono costruite le navate laterali e nel 1957
è stato
ampliato il presbiterio che ora contrasta nettamente con la sua modernità
ingegneristica con la parte rimanente della struttura della chiesa.
Tra la
zona nuova e le navate della chiesa si pone come elemento di raccordo una
gradinata, sovrastata da un arco, ai cui lati, in alto, sono state
ricavate due nicchie che oggi conservano due statue (S. Francesco
d'Assisi a sinistra, S. Antonio a destra).
La chiesa ha tre navate e cinque
altari. L'altare
maggiore è stato costruito tra il 1957 e gli anni 70 contestualmente
all'ampliamento del presbiterio e la tela meno importante della chiesa è proprio quella
che si trova nell'altare maggiore6. Nel dipinto si vede S. Margherita in cella in un momento di
preghiera, nell'atto di mostrare il demonio ammansito ai suoi piedi
(sembra più che altro un cane alato). Sopra di Lei, tra le nubi appaiono
due angioletti che porgono alla santa una corona di fiori e la palma del
martirio7.
Al principio della navata di sinistra sorge
l'altare detto di S. Defendente, o più genericamente, "dei
Santi". Risalente alla seconda metà del '600. L’altare si è
conservato sostanzialmente integro, sia nella barocca struttura in marmi
policromi, sia nella pala. In questo altare è conservato anche un
reliquiario con putti in pietra dipinta e alcune tarsie marmoree:
probabilmente risale al 1684, anno del passaggio della chiesa di
Cappelletta a Parrocchia. Nell'ossario sono
conservate reliquie appartenuti ai corpi di S. Margherita, S. Clemente, S.
Magno, S. Donato, S. Celestina e S. Benigno.
Il dipinto (inizio Seicento), opera dell'artista trevigiano
Jacopo
Bravo (attivo a Treviso dal 1606 al
1638)8 è sicuramente, tra quelli
conservati a Cappelletta, il migliore sul piano figurativo ed anche per
quanto riguarda la composizione. In primo piano a sinistra compare S.
Defendente,
vestito con una preziosa tunica dal bordo imperlato; regge la palma del
martirio ed il Vangelo, mentre guarda benevolo i fedeli. Al centro siede
un angelo nell'atto di suonare il
liuto, lo strumento tipico dei concerti
angelici. A destra è
raffigurato S. Bovo8, mentre ai suoi piedi si distende tranquillo un bue,
simbolo del santo. In primo
piano emergono dall'ombra S. Domenico benedicente, a sinistra, e S.
Francesco che sostiene una croce, a destra; Francescani e Domenicani erano
entrambi presenti a Treviso. Nella parte superiore, circondata da putti alati che
portano fiori, sta la figura centrale del Cristo Pantocratore
(che governa
ogni cosa) nell'atto di benedire i fedeli e i santi sotto di lui. Sopra la
sua testa campeggia un arco di trionfo composto di nuvole, che completa la
simbologia della gloria di Cristo nel regno dei cieli. Fatto curioso: nella parte bassa della tela, è riportato
il nome di ogni santo. Dopo S. Bovo si legge A.M.D.: forse è la data di
esecuzione di un antico restauro (tagliata dalla nuova cornice), ma
potrebbero essere anche le iniziali del restauratore.
Sul
fondo della navata sinistra si trova l'altare della Beata Vergine del
Carmine. La
parte in pietra, che riprende i modelli già usati negli altri altari,
risale agli anni tra la fine del '600 e i primi del '700. Come per la Madonna del Rosario, anche per
la Beata Vergine
del Carmelo esisteva una confraternita, che probabilmente finanziò la
costruzione di questo altare verso la metà del '600. Il dipinto del
seicento, oggi scomparso, fu sostituito nel 1805 con l'attuale pala opera del trevigiano
Antonio Minor9. La
pala risulta divisa in due parti: in
alto, tra le nubi e tre putti alati,
siede S. Giuseppe, con in mano il caratteristico bastone fiorito: guarda
verso il centro della scena, ove Maria siede reggendo in piedi Gesù
Bambino, che mostra lo scapolare miracoloso che caratterizza il culto
carmelitano. L'espressione di Giuseppe è quella di chi prova un dolore
così grande da non capirne del tutto le cause; mentre gli occhi bassi di
Maria esprimono la sofferenza pienamente consapevole datale dal conoscere
la ragione della morte del figlio. A destra di questa famiglia compare S.
Teresa, una santa carmelitana che fu la fondatrice dell'ordine femminile
delle Carmelitane Scalze. Nella parte
inferiore, a sinistra, è
raffigurato S. Gaetano da Thiene in preghiera, mentre ai suoi piedi sono
deposti gli attributi che lo caratterizzano: il giglio bianco ed il libro.
Al centro, quasi con le spalle voltate ai fedeli, sta S. Isidoro Agricolo:
regge un bastone biforcuto, uno strumento di lavoro nei campi, ma non ha
altri attributi ai piedi: sul gradino in cui è inginocchiato, si legge, a
stento, Antonio Minor F. 1805.
Sulla destra, con lo sguardo fuori campo, si
erge in piedi S. Valentino prete, con la palma del martirio in mano e gli
attributi sacerdotali vicino a lui: il cappello da prete, il calice ed il
piatto missorio.
Nella navata laterale destra si trova l'altare della
Madonna del Rosario con la pala del 1793 opera di Giancarlo Bevilacqua10.
A Cappelletta era attiva dalla metà del '600 una Confraternita del
Rosario, è probabile quindi che questo altare ne sostituisca uno più
antico11. La parte in pietra presenta forme tipicamente tardo
settecentesche, con marmi policromi e timpano spezzato: proprio nel
timpano è presente un ovale che su sfondo nero raffigura delle rose e la
corona del rosario. Il dipinto ha una struttura triangolare (rimanda alla
Trinità) e rappresenta la Madonna in trono che regge Gesù bambino in
piedi con in mano la corona del Rosario. Il trono mariano è altissimo e
la spalliera si alza sino al cielo ad indicare l'origine divina
dell'autorità e della santità della Vergine. Ai suoi piedi, a sinistra,
sta S. Domenico, il fondatore dell'ordine Domenicano, con il vangelo nella
mano; è il santo a cui la Madonna avrebbe raccomandato, quando egli era
ancora in vita, il culto del Rosario. Questa forma di adorazione mariana
ha origine nel medioevo, ma ricevette grande impulso dalla metà del '500,
dopo la battaglia di Lepanto ed il concilio di Trento: fu anch'esso uno
dei sistemi adottati dal Papato per realizzare e dare più peso alla
riforma cattolica. A destra, ai piedi della Vergine, sta S. Rosa:
riconoscibile per la corona di rose che porta sopra il velo monacale,
accarezza con la mano destra la corona di spine alla base del trono; santa
domenicana, la corona di spine rappresenta per lei il cilicio con cui
mortificava le sue carni (Sullo sfondo del quadro si intravede un
paesaggio collinare con delle partiture architettoniche a sinistra, e due
case sulla destra). Il volto della Vergine è triste, gli occhi guardano in
basso, alla corona di spine nella mano di S. Rosa: il presagio del
sacrificio di Gesù. Ciò dà alla Vergine un dolore composto, perché,
anche se preannunciata da tempo, la morte di un figlio causa sempre
sofferenza in una madre.
Sul fondo della navata destra si trova
l'altare di S. Antonio. Fu donato come ex voto nel 1663 da Giovanni Ferro,
come riporta la lapide ancora esistente.
Nel paliotto dell'altare si trova la croce di
Lorena, con due braccia traversali delle quali una indica l'iscrizione
I.N.R.I.12.
La tela
dell'altare, di autore ignoto, nella
parte bassa rappresenta S. Antonio che sostiene il Vangelo su cui sta in
piedi Gesù Bambino benedicente e nell'atto di porgere il giglio bianco,
simbolo di purezza e attributo classico del Santo. E' da notare il realismo raggiunto
nella raffigurazione delle mani di Antonio, che con una sostiene Gesù e
con l'altra lo indica come luminosa via di salvezza.
Nella parte
alta, tra le nuvole, compare a
sinistra il santo eponimo del committente, S. Giovanni evangelista,
giovane imberbe impegnato a scrivere le vicende della vita di Cristo,
assistito dall'aquila che lo simboleggia. Al centro in alto la colomba
dello Spirito Santo manda i suoi raggi a S. Francesco d'Assisi, fondatore
dell'ordine di cui S. Antonio era appartenuto. A destra in abiti
episcopali, compare S. Ermagora, primo vescovo di Aquileia, ma molto
venerato in tutto il Veneto poiché, secondo la leggenda, fu discepolo di
S. Marco.
Non è chiaro cosa rappresenti il rettangolo
scuro sotto la colomba: non si capisce se si tratti della finestra della cella del frate o dello
spazio per una scomparsa iscrizione.
L’acquasantiera è senza dubbio l’oggetto
più interessante ed enigmatico tra quelli che compongono la chiesa di
Cappelletta. L’origine e la provenienza sono del tutto ignote, la sua
tipologia è del tutto estranea alle altre opere del luogo e troppo importante per pensare che risalga alla
prima versione della chiesa, che era una semplice cappella di campagna. L’acquasantiera
è composta da tre parti con decorazioni ed elementi molto diversi tra
loro per stile e possibile datazione: una somma di elementi bizantini,
veneziani e medievali in genere che fa pensare ad una esecuzione nei sec
XI-XII e a possibili rimaneggiamenti successivi.
La
vasca, con la sua forma quadrilobata, è lavorata su sei degli otto lati
che ne compongono il perimetro (evidentemente doveva essere addossata ad
una parete). Su questo registro compaiono anche bassorilievi figurativi e
non solo decorativi come nelle parti più in basso: in una cornice
ripetuta per tre volte sono racchiusi su un fronte una coppia di leoni
affrontati e rampanti, nella parte opposta si trovano due grifoni a loro
volta affrontati e rampanti, mentre nei lati verso l’entrata sono
raffigurati, nell’atto di benedire i fedeli, S. Gregorio e S. Cassiano.
Le due figure, quasi cancellate dall’usura, identiche nel gesto e nel
reggere un libro nella mano sinistra. La scritta SAN CASAN, in volgare e
ai limiti della leggibilità è però troppo diversa da quella SCS
(SANCTUS) GREGORIUS, in latino, con le usuali abbreviazioni e meglio
conservata. Sicuramente la scritta SAN CASAN ha corretto l’iscrizione
precedente ed in ogni caso denuncia un rimaneggiamento antico
dell’opera. La matrice stilistica riprende elementi bizantini come la
fissità delle figure, il loro essere affrontate, la fettuccia che le
racchiude e le collega.
Il capitello, che funge da elemento di
raccordo tra la vasca e la colonna, ripropone dei motivi vegetali con
grossi petali, ma è talmente lineare e scarno da risultare molto lontano
dal tempo e dallo stile della decorazione sottostante. Il fusto della colonna presenta una
decorazione articolata, elegante e simmetrica. L’uso modulare
dell’intreccio vegetale e la sua regolarità lasciano supporre la tarda
esecuzione del rilievo, l’ultimo a essere compiuto, con ogni probabilità.
Nei pressi dell'altare della Scuola del
Carmine si trova murato un bassorilievo raffigurante S.
Rocco. La figura del santo è affiancata da due
pilastrini che reggono una falsa nicchia decorata a raggiera con centro
sulla testa di S. Rocco: espediente, questo della "capa santa", dal valore sia decorativo che simbolico, per
esaltare l'importanza di questo personaggio venerato soprattutto contro
la peste. Nel
bassorilievo, infatti, mostra la cicatrice rimastagli nella coscia dopo
essere guarito dalla peste. La "capa
santa", la posizione di 3/4, l'abbigliamento del Santo collocano
l'opera tra la fine del '400 ed il più probabile inizio del '500.
Presso l'altare di S. Antonio è murato un
trittico in pietra di Nanto; si sa con certezza che l'opera proviene dalla
parete esterna della torretta
(demolita nel 1953) di Villa Lazzari Agazzi. L'altorilievo ha un ordine scandito e
delimitato dalla struttura architettonica di una trifora, con cuspidi in
gotico fiorito veneziano. Si creano così tre spazi che contengono a
sinistra S. Paolo, con il libro delle sue lettere in una mano e nell'altra
la spada sollevata. A destra compare la figura di S. Pietro Benedicente,
con la chiave in mano, simbolo dell'autorità conferitagli da Cristo. Al centro è rappresentata la Vergine in piedi
con Gesù bambino in braccio. In una mano Gesù regge il vangelo, mentre
con l'altra regge, insieme alla Madonna, un frutto; si tratta
probabilmente di una melagrana, simbolo antico di fecondità e prosperità
e spesso presente in rappresentazioni del genere. Nella parte alta, tra le
cuspidi, sono raffigurati due angeli in preghiera con le ali distese.
Tutte le figure della parte bassa hanno una leggera aureola in rilievo
sullo sfondo. Diversi elementi stilistici ne
collocano la datazione nel XIV secolo; è interessante notare come sia
ancora in atto la concezione medievale della rappresentazione, che
considerava la grandezza delle figure proporzionale alla loro importanza,
così, mentre Pietro e Paolo hanno la stessa altezza e occupano lo stesso
spazio, la parte centrale, dove si trova la Madonna col bambino, è più
alta e più larga, e la Vergine ha proporzioni maggiori rispetto ai santi
ed è l'unica figura la cui testa entra nello spazio centrale della
cuspide. Il messaggio sacro prevale nettamente sul realismo della
rappresentazione.
Fra le opere spurie è interessante il pannello
processionale firmato "Antonio Minor
1815" che rappresenta da un lato S. Margherita e il drago e dall'altro lato è rappresentata la
Vergine col bambino che
consegna lo scapolare carmelitano a S. Simone Stock, mentre un angelo va
tra i dannati, nella parte bassa, per alleviare le loro pene. Dieci anni
dopo l'esecuzione dell'altare della Madonna del Carmine, Antonio Minor fu
dunque richiamato ad eseguire una variazione sul tema.
Note
1
Associazione Cultura Avventura Immagini
dal tempo - il territorio noalese nell’antichità, Comune di Noale, Editore Master s.r.l. Padova. 1997.
2 R.
Roncato, Il castello e il distretto di
Noale nel Trecento. Istituzioni
e società durante la signoria di Guecello tempesta, Deputazione di
storia patria per le venezie, Miscellanea di studi e memorie XXXV,
2002.
3
F.
Pigozzo, Briana e Moniego nel Medioevo
(1210 - 1490), Associazione Noale Nostra, con il patrocinio
della Regione del Veneto,
Grafiche Dipro - Roncade (Tv) 2003.
4 Nel documento, custodito nell'archivio
dell’Abbazia Pisani (S. Eufemia di Villanova), il Papa Lucio III
stabilisce l'autorità del monastero sulla pieve di "S.
Margherita in tribus basilicis" su una chiesa dedicata a santa
Margherita di Antiochia.
E’
assai improbabile che un piccolo villaggio sito nel bel mezzo di
un’ampia foresta, che nel nella seconda metà del '300 aveva 8 famiglie con circa 68 abitanti,
nel XII secolo non solo esistesse ma possedesse una chiesa così
importante da venire citata in una bolla pontificia.
5 Le ragioni di questo temporaneo trasferimento di autorità
sono da ricercare nel fatto che l'abate del monastero di S. Eufemia era
anche vescovo di Aquileia, diocesi a cui apparteneva Moniego; è probabile
che questi abbia voluto ingrandire la pieve di Moniego attribuendole
Cappelletta. Fu il vescovo di Treviso in persona che, nel 1480, ripristinò
la situazione originaria.
6 E' noto, da documenti d'archivio e
dalla testimonianza del Fapanni (storico locale dell'800) che in origine
in quella sede si trovava una pala opera di Bernardino Strozzi, detto il
"Prete Genovese". Col passare dei secoli ed in seguito a
maldestri restauri la tela fu ritenuta inutilizzabile e così, come già
accaduto a Cappelletta in altri altari, si preferì farne dipingere
un'altra.
7 L'osservazione della tela ci fa notare come la pittura devozionale abbia conosciuto nel
corso dell'800 una pesante decadenza.
8 L'autore è stato recentemente individuato dal ricercatore appassionato
d'arte Stefano Bravo che altresì segnalato altre opere del Bravo:
Arcade pala dell'altare maggiore del 1606 firmata e datata
- restaurata nel 1997 da A. Bigolin;
Arcade "Madonna del Rosario";
Canizzano “Visitazione”;
Dosson "Madonna con Bambino e Santi";
S. Biagio di Callalta "Madonna con Bambino e
Santi"; Spercenigo “S. Sebastiano, S. Antonio da Padova e S.
Rocco” del 1608 “S. Gottardo, S. Carlo Borromeo, S. Gerolamo?, S.
Agata e S. Lucia” del 1612 documentati;
Treviso San Gregorio “ S. Agata” attribuita da G.
Fossaluzza.
9 Sia S. Bovo, che S. Defendente, sono molto amati tra il
Piemonte meridionale e la Lombardia: è probabile che questo pittore,
formatosi sicuramente nell'ambiente veneziano della prima metà del '600,
abbia avuto contatti con le parti occidentali della Serenissima.
10 Si sa, da una ricerca di F. Bonaventura, che la pala
fu dipinta nel 1793 da Giancarlo Bevilacqua, e donata alla chiesa dalla
famiglia Villabruna dei Anna, al tempo proprietari di villa Agazzi-Lazzari.
11 La
devozione carmelitana ha origini antiche, ma ha un'evoluzione simile a
quella del culto del rosario. Sarebbe stato il profeta Elia, ritiratosi a
pregare sul monte Carmelo (collina palestinese alta
500 metri
, oggi sede di un grande monastero carmelitano), a fondare gli ideali
dell'ordine, proprio perché si rivolgeva alla Vergine, nonostante non
fosse ancora nata. L'altra grande figura legata a quest'ordine è S.
Simone Stock, il santo inglese a cui, mentre era superiore generale
dell'ordine (1251), apparve la vergine donandogli uno
"scapolare" che avrebbe garantito a chi lo avesse indossato la
liberazione dalle pene dell'inferno. L'ordine carmelitano si diffuse
notevolmente nel Medioevo, parallelamente alla devozione del popolo per la
Madonna del Carmine. I carmelitani erano presenti a Venezia, ove fondarono
anche
la Scuola Grande
dei Carmelitani, e a Treviso.
12 La croce fu usata come simbolo del patriarcato
d'Aquileia; a Cappelletta si trova anche nello stemma dei Ferro, ove
figura insieme a due gigli e alle lettere S.A.P. (Sanctus Antonius
Patavinus). Queste
raffigurazioni però sono posteriori al 1480, data della fine della
dipendenza da Moniego e molto prossime al 1684 anno in cui Cappelletta
divenne Parrocchia.
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